L’Australia ha come simbolo nazionale l’Ayers Rock altrimenti detto Uluru: si tratta di una roccia rossa monolitica presente nel centro del paese, il cosiddetto “Red Centre”, rosso deserto ricco di particelle ossidate di ferro.
Dopo tre ore di volo interno (si può volare da Sidney con la compagnia di bandiera Qantas sui 300 euro oppure con le low-cost Virgin Australia e Jetstar a 150) si atterra in un piccolo aeroporto proprio vicino alla grande roccia rossastra.
Se non avete prenotato un’auto, dei comodi pullman vi porteranno nell’unico resort di Yulara, a circa 20 km dal “sasso”. Altrettanti ne dista l’aeroporto da Uluru.

Come mai un solo resort?
Diversamente da altre attrazioni naturali in giro per il mondo, è stata cura del governo australiano, in accordo con la tribù degli Anangu (aborigeni) che custodiscono la zona, di dare ai turisti stranieri e locali l’impressione che la zona circostante Ayers rock fosse la più incontaminata possibile.
E difatti la grande roccia rossa la si raggiunge avendo un infinito deserto piatto intorno, senza nemmeno l’ombra di altre strutture “umane” per centinaia di chilometri.
Ciò che rende unico questo posto nel mondo è che era il fondale di un antichissimo mare e la roccia in questione spicca nei suoi 300 metri di altezza su una pressoché piatta pianura costituita da sabbia rossa e varie piante grasse e pochi alberi che si estendono a perdita d’occhio.
Questo monolito assume un aspetto mistico proprio perché, circondati dal nulla, ci obbliga a doverlo sempre guardare, se non altro come punto di riferimento laddove tutto sembra uguale.
Parlerò dopo di Yulara, per il momento posso dire che i servizi in questa zona sono molto cari (tutto è importato) e la facoltà di scelta pressoché nulla (un solo resort, solo due compagnie che offrono escursioni).
Ma ne vale la pena, e quando siamo tornati in Italia eravamo tutti e tre d’accordo: il Red Centre è l’essenza dell’Australia, ancora più della barriera corallina e dell’architettura di Sydney.
Le escursioni (Uluru – Kings Canyon – Kata Tjuta) vengono tutte sui 60-100-250 euro, e diversamente da quanto si pensi, si potrebbe tranquillamente passare un settimana senza mai annoiarsi.
Il periodo ideale per visitare Ayers Rock
Un’escursione ad Uluru / Ayers Rock richiede almeno una giornata: d’estate (inverno nell’emisfero boreale) ci dicono che caldo e mosche (e folle di turisti) non permettono di godere appieno dell’ambiente.
Il mite inverno australe invece ci dà i brividi solo al mattino presto (0 gradi) per poi arrivare ai gradevoli 20° di mezzogiorno: basta vestirsi a strati con felpe, pile, e giacche, e togliere sciarpe e berretti quando il sole è alto.
Niente insetti e niente caldo torrido, e pochi turisti.
Si arriva con il bus al parcheggio di entrata, da dove era possibile scalare la montagna seguendo una catena metallica. Recentemente è stato abolita la possibilità di scalare in quanto contrario alle credenze Anangu (solo gli sciamani possono scalarlo). In ogni caso il percorso è fatto su una roccia completamente liscia e senza punti di stop quindi piuttosto pericoloso.
Quando siamo arrivati noi era chiuso per venti troppo forti in cima.
Attorno alla misteriosa roccia rossa
Rimane quindi il percorso di 10 km attorno al monolito, e qui partono le sorprese: non è infatti monotono, bensì la roccia sedimentaria è friabile e nei millenni l’erosione ha creato caverne e nicchie dove alberi e laghetti offrono riparo dal sole e dal vento.
Osserviamo subito alcuni petroglifi aborigeni, in genere rappresentazione di flora e fauna stilizzati.
Il percorso talvolta ci fa avvicinare a queste grotte e talvolta allontana per far vedere alcune erosioni sui fianchi alti della montagna, oppure un particolare profilo, facendo notare le nere strisce che scendono dalla sommità, ossia i ruscelli e le cascate temporanee di acqua quando piove.
Tutta la montagna è molto arrotondata, segno di una certa “vecchiaia” specie se comparata con le nostre vette alpine frastagliate.
Tutta la vegetazione ovviamente è autoctona e fanno capolino alcuni strani fiori con pennacchi bianchi, quasi come stelle alpine.
Non ci sono animali: probabilmente sono tutti al riparo dal freddo. Durante il percorso sono previsti pochi posti a sedere sotto tettoie di legno, e due soli posti per emergenze da dove è possibile telefonare (uno è il parcheggio nord di Uluru).
La camminata non è impegnativa e non ci si annoia osservando le continue sfaccettature che l’erosione ha impresso all’arenaria rossa di questa cattedrale aborigena, poiché tale è per gli Anangu, e non di rado si ritrovano in qualche nicchia o grotta a celebrare dei riti: ovviamente è vietatissimo fotografarli, così come sarebbe anche vietato fotografare la montagna di profilo (non si sa bene il motivo).
Merita di menzione, a 4/5 del percorso, il Kapi Mutitjulu, una insenatura nella roccia che svela un piccolo laghetto con tanto di cascatella e pesci. Come possa l’acqua sgorgare in un zona così arida è qualcosa veramente incomprensibile, comunque è ottimo pretesto per sedersi e rilassarsi , magari leggendo sulle targhe qualcuna delle mille leggende aborigene che aleggiano su questo luogo.
Terminato il giro, non aspettatevi nessuno ad accogliervi…come siamo partiti soli, soli siamo arrivati, e nel parcheggio quasi vuoto non ci rimane che da fare due cose: o attendere l’arrivo dell’autobus, oppure inoltrarci per davvero nel deserto seguendo un sentiero di 2 km sino al Centro Culturale Aborigeno.
In effetti se non ci fosse Uluru alle nostre spalle non riusciremmo neppure ad orientarci: talvolta il sentiero si apre e dà l’idea di false piste che non portano da nessuna parte. Per fortuna ogni tanto vediamo ritornare dei turisti che ci confermano dell’esistenza del fantomatico centro che raggiungiamo, e che ci delude non poco: qualche materiale video con divieto assoluto di foto (ancora) il centro è piccolo e sorvegliato da una biondissima australiana anglosassone, fra l’altro chiude alle 17:00 ed il sole scende..e non troviamo informazioni sul nostro bus di ritorno.
Una telefonata a Yulara ci rassicura e difatti il bus ci prende a bordo per portarci in alcuni spiazzi da dove la roccia può essere fotografata a qualche km di distanza..la roccia quindi, al calar del sole, assume varie tonalità, meno visibili durante l’inverno australe.
Ayers Rock passa dall’arancio/giallo al rosso sino al viola e poi svanisce nell’oscura notte del deserto australiano..che rivela però una stupefacente via lattea senza inquinamento luminosi.
L’Hilton del deserto: Yulara
A Yulara sorge l’unico resort della zona, ovvero l’Ayers Rock Resort, organizzato in base al prezzo e quindi al livello di confort.
Si parte dal semplice campeggio, passando a comodi e spaziosi bungalow con tanto di doccia in camera e televisione, dove abbiamo soggiornato, sino a soluzioni sempre più confortevoli e lussuose.
Esiste un circuito interno con navetta gratuita, ed un paio di supermercati ben forniti.

Il tutto con Uluru come sfondo!
Hamburger e patatine (il piatto nazionale, ehm) sono serviti in chioschi nelle piazzette dello shopping, e pure un grill australiano: si prende la carne (piuttosto cara, sino a 30 euro di costo per pochi pezzi) e la si cucina da soli nelle piastre , decidendo grado di cottura, ovviamente abbiamo provato il tris locale composto da salciccia di emù (un animale parente dello struzzo), canguro e alligatore (!!).
Mentre le spezie rendevano il sapore della salciccia di emù indefinibile, la carne di canguro non era diversa da una nostra tagliata di manzo, mentre la carne di alligatore era veramente bizzarra: bianca, molto difficile da tagliare, in bocca si scioglieva e con un sapere a metà tra il pollo ed il pesce persico.
Peccato per i costi: purtroppo in Australia spesso i prezzi in rapporto alla quantità offerta sono sproporzionati.
della musica country australiana allietava la silenziosa notte del deserto.
A Yulara è possibile vedere, oltre ai lavoratori stagionali, anche degli aborigeni del luogo, impegnati a gestire il resort.
Attenti ai Dingo!
Nella nostra visita ad Uluru, essendo agosto per le stagioni invertite nell’emisfero australe era inverno e praticamente non c’era vita nei luoghi da noi visitati, nemmeno le pestifere mosche che costringono i visitatori estivi ad indossare cappelle con zanzariere: però un animale sicuramente lo vedrete, e questo è il dingo.
I dingo sono cani di taglia media dal mantello giallo-rossiccio, per la precisione cani inselvatichiti portati dall’Asia dai primissimi aborigeni. Questi cani sono in realtà pericolosi: le strutture turistiche non hanno recinzioni e la notte uscendo anche solo per andare ai bagni è possibile imbattersi in questi animali.

E’ accaduto a Giuseppe (Italian Vagabond n.d.r.) e Nicola, mentre fotografavano la via Lattea: per fortuna i cani non li hanno inseguiti ma una precipitosa fuga ha posto fine all’appostamento notturno.
In realtà nel camping sono affisse alcune norme di comportamento che suggeriscono di non correre , ma in generale le trovo alquante insufficienti a garantire l’incolumità. Conviene sempre camminare nelle zone illuminate e se possibile non uscire dal resort.
In conclusione: questo sogno chiamato Outback
Esistono anche altre escursioni che è possibile fare da Yulara. Per esempio, Nicola e Giuseppe sono andati sino al King’s Canyon, a ben 230 km di distanza: si tratta di una gola profondissima, una fenditura nel deserto ove, dopo una levataccia alle 4 del mattino, è possibile fare 6 ore di escursione guidata in mezzo al nulla del deserto australiano.
Una visita gettonatissima è quella alle sorelle minori di Uluru: le guglie dei Monti Olgas ai quali ho dedicato un post in precedenza.
Kata Tjuta (Australia): vale la pena visitare i Monti Olgas?
E’ possibile anche visitare il lago salato Amadeus (un po’ difficile ma possibile), nonché fare romantiche cenette in mezzo alle luci nel deserto e varie amenità da resort…
Il red centre, bello ma caro, rappresenta un po’ per gli australiano quello che il Vaticano rappresenta per noi.
E’ inoltre un assaggio di Outback con i suoi monumenti più celebri.
ed in realtà dei 7 milioni di kmq dell’ Australia una buona metà è proprio deserto piatto a perdita d’occhio: partire con un mezzo alla visita di questa immensità richiederebbe mesi, e sarebbe forse l’esperienza più adatta per poter capire la vita che si svolge da queste parti, oltre le strade ben asfaltate e i centri commerciali.
Se volete avventurarvi e seguire queste piste nel deserto conviene davvero partire molto ben equipaggiati pure con telefono satellitare in caso di guai seri. Noi per questa volta ci siamo accontentai di un assaggio di Outback impreziosito dalla presenza imponente dell’Ayers Rock…
…e possiamo dirci ben contenti dei 1000 euro circa che ci è costata questa a testa questa avventura: la maggior parte dei turisti stranieri e persino gli australiani stessi non visitano questa landa semi inesplorata di Australia, impauriti dai costi eccessivi.
Una landa deserta che però si può dire veramente unica persino se comparata ad altri luoghi desertici della Terra.
Saluti e buon Outback a tutti !
A cura di Andrea Bortolami
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